Discorsi del Maestro Sosen

Discorsi del Maestro Sosen

Nella pratica dello Zen Rinzai - Lin Chi di Chan, durante le Sesshin, il maestro tiene un Teisho, in cui commenta un testo, e due brevi discorsi, che si chiamano Junkei.

Di seguito potete trovare alcuni dei discorsi tenuti dal maestro Sosen durante le sesshin tenute nel corso degli anni.

Primavera 2021 - online

Sabato scorso c’è stato un collegamento con l’intervista a Tiziano Fratus, poeta e scrittore. Non sono riuscito a partecipare, ma ho visto la registrazione il giorno dopo, la domenica.

Il lunedì sono andato da un contadino col gerlo (qui da noi la gerla è maschile) a prendere del letame per l’orto. Silvio furbescamente ha preferito la motocarriola che ne trasporta decisamente di più e con meno fatica, ma a me piace così, mi sento parte dell’ambiente.

Camminando in mezzo ai boschi, da solo, con i rumori della valle portati dal vento e con 35 Kg di letame sulle spalle (pesati al rientro), mi è tornata in mente la figura di Fratus, con la grande libreria alle spalle e diversi libri a portata di mano nella postazione. Diceva: “Leggo anche una quindicina di libri contemporaneamente, passando dall’uno all’altro.”

Ed io? Io con un gerlo di letame sulle spalle.

Non sono contrario ai libri, anzi. Anche se ultimamente vado dicendo che mi sono stufato delle parole. Ma poi, dato che non voglio fare l’eremita…direi che semmai ce l’ho con certi giornalisti e anche scrittori che, scrivendo per loro stessi, faticano a raggiungere l’ultima pagina.

Essendo abbonato al CAI ricevo la loro rivista, questo mese, parla di bambini in montagna. “La natura ha un valore educante che nessun libro e nessun racconto potranno eguagliare”. Camminando su questa stradina ho pensato: “Chissà quanti passi nei decenni, forse nei secoli, si sono consumati dove ora sto procedendo io”.

Anche il gerlo ed il letame hanno la loro storia, le parole sono in grado di descriverli anche minuziosamente, ma se quel gerlo di letame non te lo carichi sulle spalle, come puoi comprendere?

Potrai capire, ma non comprendere o ancor meglio realizzare.

Il Maestro Taino da sempre va ripetendo che bisogna stare attenti. Altrimenti si rischia di trovarsi vecchi senza aver mai vissuto, o forse, ancora peggio, provato a vivere la vita di qualcuno altro.

Nel caso 58 intitolato Il mare che sembra il mare dello Zenshin roku1, la nonna si lascia bagnare i piedi sulla spiaggia e poi dice “Sembra proprio di stare al mare”.2

E qui...“Sembra proprio un gerlo di letame”.

A mani unite

Sosen

Note:

1Massimo Shidō Squilloni, Zenshin Roku. I koan del maestro Zen Engaku Taino, Mimesis Edizioni, Milano 2021.

2 Il mare che sembra il mare

n.93 – 9 marzo 2018

Qualche sesshin fa, il Maestro Taino, rientrando per il discorso di chiusura del mattino, disse: “chi è abituato a fare discorsi agli allievi, a volte si trova a non aver niente da dire …”

Questo è quanto succede a me stasera. A volte parto da casa che già so cosa dire, a volte mi viene strada facendo e a volte, come stasera, prendo il keisaku tra le mani e mi aspetto che capiti qualche segnale presente nell’aria.

Dev’essere una buona antenna perché finora non sono mai rimasto in silenzio, qualcosa mi è sempre venuto.

Stasera è venuto per la prima volta un allievo a rispondere al koan. Pensando a quel piccolo discorso che faccio a tutti coloro che hanno deciso di incamminarsi su questo sentiero, ho avuto l’immagine di un innesto. 

È come prendere una gemma e facendo uno spacco nell’albero viene inserita, sperando che venga accettata e nutrita, affinché possa a sua volta dare i frutti desiderati.

Il maestro, come il contadino o il botanico… fa quello che c’è da fare, poi sarà quel che sarà.

Ognuno deve recitare la propria parte nel migliore dei modi, e se son fiori, fioriranno.

A mani unite

Sosen

n. 92 – 2 marzo 2018

Noi possiamo dire di vivere in un paese tecnologico. Se guardiamo la pubblicità di aziende costruttrici di automobili, ce ne possiamo ben rendere conto: antislittamento, telecamere che mantengono il mezzo in carreggiata e che bloccano l’auto in caso di distrazione, volanti che vibrano sentendo il calo di attenzione del guidatore e via dicendo. Eppure, dieci centimetri di neve ed il paese è in ginocchio…come può essere possibile?

Le macchine sempre più intelligenti, e noi sempre più imbranati. La medaglia ha sempre due facce. La tecnologia da sola non può bastare; e più ci accaniamo a livello tecnologico e più perdiamo a livello umano, fisico. Si guadagna da una parte, e si perde dall’altra, direttamente proporzionale. Se ti tiri la coperta sulle spalle, si scoprono i piedi, o viceversa.

Il corpo umano di tecnologia ne ha da vendere.

Abbiamo tutto ciò che serve per vivere nel migliore dei modi, eppure ce la giochiamo male, come mai?

Siamo sempre alla ricerca di chissà che, non rendendoci conto che è già tutto qui. Non vi è nient’altro.

Quello che è, è. Impariamo ad osservare le cose come sono, nella loro natura; non volendole mutare a nostro piacimento, secondo i casi.

Con la “tecnologia” che ognuno di noi ha in dotazione possiamo arrivare lontano. La nostra mente è senza limiti, eppure, non facciamo fatica a crearceli.

Attenzione!

Abbandoniamoci fiduciosi sul cuscino, abbiamo già tutto, dobbiamo solo rendercene conto.

A mani unite

Sosen


n.89 – 9 febbraio 2018

Alle  11:45, sabato scorso mi sono incontrato con Sergio, proveniente da Bergamo, per andare a Scaramuccia in sesshin.

Alle 12:45 del giorno dopo, eravamo nello stesso parcheggio dell’autostrada: in 25 ore andata e ritorno (900 km.) e sesshin. Qualcuno potrebbe pensare che siamo matti e in fondo avere pure ragione. Prima che iniziasse questo corso, ero solito andare in sesshin di venerdì ma, ora che mi sono preso questo impegno, a parte un'eccezione ogni tanto, se voglio continuare con la pratica dei koan, mi devo accontentare del sabato. La sola possibilità che ho, per praticare i koan, è incontrarmi col Maestro Taino  a Scaramuccia una volta al mese e, se salto il mese, quello successivo. Voi qui, avete la possibilità di venire a Sanzen tutte le settimane, di poter tutte le settimane verificare  la risposta e di praticare coi compagni. Non è poco. Con questo non voglio dire che sono geloso nei vostri confronti: a Scaramuccia vado molto volentieri, nonostante i chilometri, e poter incontrare il Maestro che mi ha dato la possibilità di essere ora qui con voi e i compagni di pratica mi dà molto piacere.

”Se si è illuminato il Buddha perché non posso farlo anch’io? E poi i Maestri cinesi e giapponesi. Io non sono tanto diverso, ho avuto i genitori come loro, non indiani, cinesi o giapponesi, ma non fa molta differenza. Se ci sono riusciti loro lo posso fare anch’io”. Sono parole del Maestro che ora cito a memoria.

Questa è la determinazione che ognuno di noi dovrebbe avere nei confronti della pratica e della vita. Non sono i km. o il tempo a fare la differenza, ma la determinazione. A volte basta un piccolo raffreddore per rinunciare al nostro appuntamento, dobbiamo stare attenti, a non farci prendere da questi piccoli disagi: è facile cadere nell’indolenza!

Attenzione! Attenzione!

A mani unite

Sosen

 

n.88 – 2 febbraio 2018

Sembra facile: ma a volte ci sediamo e non riusciamo a rimanere concentrati. È passata una settimana, magari la volta scorsa eravamo così presenti a noi stessi… e stavolta, invece, non c’è verso! Come mai?

Anche la concentrazione rientra nell’impermanenza; dobbiamo stare attenti, però, a non farci prendere troppo; altrimenti subentra un senso di frustrazione. In questi momenti provate a pensare che siete degli esseri perfetti, che non c’è nulla da raggiungere, che quello che pensavate di realizzare venendo qui è già realizzato. Che siete tutt’uno col compagno che siede di fronte a voi o al vostro fianco e che tutto questo è un gioco.

Godetevi le forme intorno a voi, lo spazio vuoto, il silenzio o il rumore che filtra dall’esterno, il vostro corpo appesantito dai pensieri, il kinhin, la cadenza del passo dettato da chi guida la meditazione. Sono tante le cose e le situazioni intorno a noi, da cui possiamo apprendere ed alle quali poterci sentire grati.

Il nostro compito è quello di abbandonarci, non quello di cercare. Spogliamoci di tutto, se vogliamo danzare con l’universo.

A mani unite

Sosen

n.86 – 19 gennaio 2018

Nella quasi totalità dei giorni mi soffermo anche per poco al pc. Controllo la posta, il forum di Scaramuccia, sfoglio il giornale e a volte svolgo qualche ricerca.

L’altro giorno sul forum è stato postato il commento di Franco Shihan, che alcuni di voi hanno conosciuto.

Commento che ha tenuto alla sesshin di febbraio 2017 nel centro Mongaku Zen di Trento.

Commento al sutra di Hui Neng di Franco Shihan.

Hui Neng è il sesto Patriarca, un Maestro cinese molto importante nel Chan, vissuto nel '600.

Il Maestro dell’illuminazione improvvisa.

Nella  nostra   società   pensare   di  poter   accedere “improvvisamente” alla buddhità, all’illuminazione, al gradino più alto che l’essere umano può raggiungere è sicuramente strano.

Solo le “sfighe” arrivano in questo modo.

Noi siamo soliti pensare in modo deterministico, meccanicistico: facendo una certa cosa si ottiene un certo risultato. Soprattutto  nella   nostra   religione   di  stato,   se   non   teniamo  un   certo   comportamento   non  possiamo accedere al paradiso, non possiamo conoscere Dio.

Nel Chan le cose non stanno così e Hui Neng ne è stato l’esempio. Rafforzato qualche secolo più tardi da Linci (Rinzai), il maestro dei Koan.

Se non c’è nulla da raggiungere, cioè nessuno scopo, quale potrà essere l’azione adatta?

Abbandoniamoci fiduciosi ad ogni istante, con attenzione.

Il Chan ci accompagna in ogni momento, dobbiamo “solo” rendercene conto.

A mani unite.

Sosen

 

n.85 – 12 gennaio 2018

Sarà perché qualcuno di voi nel vedermi mi ha chiesto di Chamonix. Ho pensato agli incidenti accaduti in chiusura della settimana, e a un problema ben più grave, ad una nipotina di due anni. Quando mi sono seduto mi è venuta alla mente la prima delle Nobili verità del Buddha: “la sofferenza”. Quella sofferenza che, oltre a colpire i diretti interessati, si allarga a parenti, amici e conoscenti.

La sofferenza è parte integrante dell’essere umano. Non si può evitare: quando il dente duole, illuminati o no, fa male.

Anni fa nascevano i primi libri sul pensiero positivo; e ancora adesso, dopo un periodo di calma dettato da quella che noi chiamiamo crisi, incontri qualcuno raggiante che ti strizza la mano usando solo superlativi. Essere positivi è sicuramente meglio di uno stato depressivo. Nel positivo c’è una buona dose di fiducia, e la fiducia, come già è stato detto, è fondamentale.

Il Buddha però, con le Nobili verità, ci ha fornito uno “strumento” con il quale poter comprendere la causa di questa sofferenza e, una volta compresa, poter vivere a contatto con essa. Comprendendo cioè da dove viene e chi soffre.

Questi sono punti fondamentali nella nostra pratica.

Inoltre nella nostra scuola ci sono i koan, che ci addentrano nella moltitudine di paradossi che incontriamo quotidianamente. Tra questi “ogni giorno è un buon giorno”. Un koan che incontrerete nella pratica progredendo, nel quale viene richiesto di dimostrare che ogni giorno è appunto un buon giorno nonostante tutto. “Strumenti”, mi permetto di chiamarli così, e non “condizioni mentali autoimposte”, per mezzo dei quali spendere la vita, nel migliore dei modi.

A mani unite

Sosen

 

n.73 – 13 ottobre 2017

Questa settimana ho lavorato a Monza, andando avanti e indietro tutti i giorni. Lunedì, entrando in autostrada a Desenzano, già alle sei del mattino, tutte e tre le corsie erano occupate sia in direzione Milano che nel senso opposto. Tutte le volte che capito in questa situazione, non riesco a fare a meno di stupirmi della quantità di pazzi che si affannano già così presto il mattino nel cercare disbarcare il lunario ed io naturalmente non faccio eccezione. Quelli di giù vanno in su, quelli di su vanno in giù, uno degli innumerevoli koan della vita.

È giusto farsi prendere dalla quotidianità, a qualsiasi livello, ognuno con la propria parte, ma ancora più importante è comprendere chi è, che si fa prendere?

Qualcuno di voi già da un po’ sta  praticando i koan e andando avanti incontrerete un koan che chiede: “Shakyamuni e Maitreya sono i suoi servitori, chi è costui?”

“Costui”, dobbiamo essere in grado di riconoscerlo, e nella stanza di Sanzen, deve saltar fuori.

Dopodiché, ci possiamo divertire in qualsiasi pazzia.

A mani unite

Sosen

 

n.63 – 9 giugno 2017

La scorsa settimana con alcuni di voi siamo stati a Scaramuccia in sesshin, il cuore di questa scuola. È stata una bella esperienza e così anche per me nel sentirmi in qualche modo responsabile nei vostri confronti nell’introdurvi nel gruppo, nel sangha, in quella realtà dove sono cresciuto e spero di continuare a crescere con un Maestro da voi definito così vivo.

La sesshin è una cosa quasi magica, qualcosa che ti tocca direttamente il cuore, dove ti puoi rendere conto di quanto tempo si sprechi in inutili cose nella quotidianità, dove anche lavare i piatti assume un sapore diverso, quel sapore dato dal sentirsi parte integrante del luogo e parte integrante di quel gruppo di persone che si ritrovano più o meno mensilmente per sondare la realtà delle cose.

Tornando in macchina abbiamo chiacchierato tanto, fino a portarmi a dire che la forza, la determinazione, la competenza, che ogni praticante di Scaramuccia si gioca sul campo quotidianamente sono grazie ad un Maestro, il quale ha da sempre perseguito come unico scopo la realizzazione della buddhità, la più alta possibilità in mano agli esseri umani per poter vivere pienamente il passaggio terreno.

Questo è un punto fondamentale da comprendere, perché, chiacchierando a proposito di persone che si presentano sul web o che scrivono libri pensando di aver scoperto l’acqua calda, o di avere la ricetta per qualunque situazione, non si rendono conto che le ricette, oltre a conoscerle, bisogna saperle mettere in pratica.

Noi, come spesso ricorda il Maestro Taino, abbiamo a disposizione i koan che sono la cassetta degli attrezzi per la quotidianità dove, rovistando, riusciamo a trovare la chiave adatta per ogni evenienza, per poter affrontare la vita a testa alta, e sapersela godere in ogni situazione.

Con questo non voglio dire che chi non pratica i koan non sia in grado di cavarsela altrettanto bene, ma sono uno strumento in più, ed inoltre la pratica, ci costringe a guardare le cose nella loro reale semplicità, rinnovandoci nella  fiducia.

A mani unite

Sosen

 

n.60 – 12 maggio 2017

La settimana scorsa, come ben sapete, non sono venuto perché ero a Scaramuccia dal giovedì. Arrivare qualche giorno prima della sesshin è proprio bello.

Il mese di maggio penso sia tra i più favorevoli: non fa caldo, non fa freddo, il corpo non sente i disagi delle stagioni più estreme e la primavera è al culmine.

Durante la sesshin è stato chiesto al Maestro Taino qual è stata la maggior difficoltà che ha riscontrato nel monastero in Giappone.

Il Maestro Taino ha risposto: ”diverse” un accento particolare alla temperatura, nel monastero dicendo che si medita con porte e finestre spalancate estate ed inverno e l’abbigliamento è sempre lo stesso. Gli inverni in Giappone sono rigidi e le estati con alto tasso di umidità.

E poi i dolori alle gambe e alla schiena, dati dalla posizione alla quale noi occidentali  non siamo abituati, e dice che i tempi seduti a volte erano anche di un’ora e mezza.

Lo ”straniamento”, mi sembra questo il termine che ha usato per far comprendere come si sentiva alla sveglia del mattino alle tre, quando a volte si era appena coricato (e doveva correre a prepararsi e quel non riuscir a rendersi conto di ciò che sta succedendo e dove ti trovi in quel momento.

È stata dura, a volte dice che ha pensato pure che poteva morire.

Noi qui non siamo forzati nella posizione e neanche nell’immobilità, non c’è nessuno che gira col bastone punitivo.

Durante gli anni a Scaramuccia il Maestro ha dovuto spesso cambiare tempi e modalità adeguandoli in continuazione alle diverse circostanze in atto.

Anche noi nel nostro piccolo apportiamo spesso modifiche ai fini di migliorare o di rendere praticabile un’arte non facile ai nostri giorni, le persone che sono venute a provare sono decisamente molte di più di questo piccolo gruppo oramai affermato. Se fossero rimasti tutti avremmo anche dei grossi problemi in birreria nel dopo corso, quindi va benissimo così. Comunque la determinazione, la fiducia in noi stessi, non dovrebbero mai vacillare, questi sono punti molto importanti senza i quali il Maestro non avrebbe potuto realizzarsi e noi non potremmo continuare nella pratica.

A mani unite

Sosen

n.48 – 27 gennaio 2017

Misto rendendo conto sempre di più di quanto insegni “l’insegnare”, il trovarsi dall’altra parte, l’essere allievo con le vesti di maestro. E ancora di più ora, che alcuni di voi hanno iniziato a praticare i koan, trovo l’insegnare un forte stimolo per mettere in pratica ciò che ho imparato negli anni.

Il punto fondamentale è essere ciò che si dice, rappresentarlo: ”fate quel che dico, ma non fate quello che faccio”.

Un proverbio che conosciamo tutti, e sicuramente non nato per caso.

Abbiamo un sacco di esempi di religiosi e non solo, il cui comportamento rispecchia molto poco le vesti che indossano: “l’abito non fa il monaco”.

Deve essere la serata dei proverbi! Penso che dopo un po’ di tempo che si frequenta un maestro, si dovrebbe essere in grado di capire quanto ho detto.

Bisogna stare attenti, ci sono molti approfittatori che con una buona dose di intelligenza, cultura e soprattutto carisma, riescono a plagiare un sacco di persone.

Nello Zenshin Roku, il caso N° 77 espone bene il problema “I polli e i ladri di polli”, senza l’uno non ci potrebbe essere l’altro.

In particolare, nella stanza di sanzen, il maestro deve essere il rappresentante del vuoto, perché solo  essendo vuoti come uno specchio e in grado di riflettere l’immagine che gli si presenta davanti, sarà nella condizione giusta per spronare l’allievo nella realizzazione della Buddhità.

A mani unite

Sosen

n.46 – 13 gennaio 2017

Stasera, per la prima volta, mi sono seduto in uno studio adibito a stanza di sanzen in attesa di un allievo, che per la prima volta veniva a portare la sua risposta ad un quesito importante: il MU di Joshu.

Paolo Shōju, sul forum, qualche giorno fa, ha evidenziato l’espansione della scuola di Scaramuccia, 40 sono i maestri di Dharma, 66 maestri di meditazione e poi maestri di yoga, di tai chi, di arrampicamento, di scivolamento.

2500 anni fa, il Buddha ha dato il via a questo immenso gioco e grazie ad un signore di nome Luigi Mario, divenuto il Maestro Engaku Taino in Giappone, tutto questo è potuto succedere.

GRAZIE!

Non tutte queste 40 persone insegnano, ma potenzialmente ci sono 40 satelliti che orbitano intorno a Scaramuccia, senza voler escludere gli altri maestri, non è cosa da poco.

Questo è il 46° discorso che tengo in questa sala, sembra ieri che per la prima volta, ho preso il keisaku  tra le mani.

Abbiamo iniziato con esercizi di scioglimento, poi di respirazione, e via via siamo giunti fino qui, ora ci sediamo, e il jikijitzu con i taku apre e chiude i periodi, ed ognuno di noi, nel suo piccolo, sa quel che c’è da fare, e grazie a quella prima volta stiamo crescendo, crescendo nello scavare dentro di noi, alla ricerca di quella sorgente che ci accomuna, che ci sommerge, ma comunque non facile da realizzare.

I compiti difficili nella vita non sono pochi, ma appunto perché difficili, dobbiamo essere in grado di spremere il massimo da noi stessi, con la convinzione che comunque vada, andrà bene.

A mani unite

Sosen

 

n.40 – 18 novembre 2016

La settimana scorsa ho avuto da uno di voi una fotografia fatta al parco Ducos, molto bella! “La fioritura dell’autunno” come la chiamo io. La natura prima di spogliarsi completamente ha un’esplosione di colori, una seconda primavera, gli alberi, il laghetto, le papere…

Ringraziando con una mail ho scritto: “perché sedersi sul cuscino, se si esprime così bene nel parco?” Certo, se riuscissimo a tenere gli occhi aperti non ci sarebbe bisogno di sedersi sul cuscino, però gli occhi aperti e soprattutto in grado di vedere, li abbiamo spesso oscurati dai pensieri che ci portano in giro da tutte le parti, e allora eccoci qui.

Qui ad imparare, ad esercitarci, per essere pronti in ogni momento a cogliere quello che ci si presenta davanti, e viverlo senza contaminazioni mentali, lasciandoci trasportare dalle stagioni, e come le stagioni, accettare i mutamenti, comprendendo che una per un motivo, una per un altro, sono tutte belle, tutte meritano di essere vissute.

I Maestri del passato fino ai giorni nostri affermano che è tutto qui, davanti ai nostri occhi, ma qui dove? Si chiede qualcuno e se è qui, perché non riusciamo a vederlo? 

Forse la cataratta non dovremmo aspettare a curarla in età avanzata, ma pensarci qualche anno prima.

Rendersi conto che l’illuminazione già c’è, che tutti ne siamo pregni, è il primo passo, poiché non possiamo metterci alla ricerca di qualcosa alla quale è impossibile sfuggire.

A mani unite

Sosen

6 novembre 2016

La vacca

Il mio primo koan l’ho avuto esattamente 40 anni fa, allora diciassettenne lavoravo come apprendista manutentore alla Piaggio Gilera di Arcore. Il mio capo di nome Umberto era un “grande”, un grande nella praticità, sapeva fare di tutto e bene. In quegli anni ci occupavamo di carpenteria, idraulica, lattoneria e meccanica.

Da apprendista, e non solo da apprendista, capita che non sai come venire a capo di certe situazioni. A quei tempi chiedevo a Umberto, e lui di tutto punto mi rispondeva: “cume la fa la vaca a lecas elcu?”(come fa la vacca a leccarsi il culo) e se ne andava. Ecco il mio primo koan, non capivo, ma piano piano, forse anche con l’aiuto dei calci in culo, capii.

Alla fine degli anni ottanta conobbi un maestro di sci e poi seppi era pure Maestro zen, io di zen e di buddismo allora ero completamente vergine. Non so da cosa fui colpito, se dall’uomo, o da qualche altra cosa che allora non seppi definire, comunque cominciai a sedermi come ci si sedeva in quel luogo: a gambe incrociate. Alla mia prima sesshin di due giorni, avrei venduto mia madre, purché finisse in fretta.

Poi, non so come mai, ma tornai, e di lì a poco chiesi al Maestro di avere il koan. Il primo koan della tradizione dice: “Un monaco chiese al Maestro Joshu: il cane ha la natura di Buddha o no? Il maestro Joshu rispose MUU.”

Ecco, ci risiamo con la vacca, deve essere un animale importante per me, per la mia comprensione.

Questo MUU, che vibra da sempre nell’intero universo, mi sono poi accorto che me l’ho portavo già in tasca allora, da apprendista e da prima ancora, certo non ne ero cosciente, ma era lì, da sempre.

“La verità è nelle nostre mani ma è inafferrabile, sguscia come un’anguilla” scrisse Montale.

E non rimane che sedersi, per fare un po’ di chiarezza e comprendere che, così come siamo, siamo già perfetti.

A mani unite

Francesco Sosen

n.23 – 29 aprile 2016

Qualche tempo fa, venne a provare in questo corso una persona che era alla ricerca di un maestro. Disse che faticava a trovarlo, non era nuovo alla meditazione ed  aveva già partecipato a sesshin col Maestro Guareschi.  Probabilmente io nel mio piccolo non gli sono piaciuto, perché non lo abbiamo più visto.

Trovare un Maestro non è facile, ci sono molte persone che si improvvisano, mentre i Maestri veri sono pochi.

Da diverso tempo oramai vado dicendo che la cosa più importante che mi è capitata nella vita è appunto l’aver incontrato un Maestro, un Maestro zen. Sotto la sua guida in questi anni ho avuto la possibilità di crescere, fino al punto di essere qui ad insegnare, ad insegnare un qualcosa di vissuto e non solo di letto o di sentito dire perché nello zen quello che conta è l’esperienza.

Tutti noi penso, dal momento che decidiamo di imparare un’arte, la vorremmo imparare dal migliore. Ma il migliore non è sempre dietro l’angolo e questa non è un’arte qualsiasi, è l’arte del vivere. Ci siamo messi in cammino per apprendere qualcosa che già  fondamentalmente ci appartiene, questo non vuol dire che il maestro non serva, o non debba  essere bravo, anzi il maestro è indispensabile. Si tratta di colui che, avendo percorso la strada prima di noi, conosce gli ostacoli e quindi ci può guidare nel percorso, un percorso particolare, dove all’inizio le montagne sono montagne e i fiumi sono fiumi, poi le montagne non sono più montagne, e i fiumi non sono più fiumi ed infine le montagne ridiventano montagne e i fiumi ridiventano fiumi.

Non è un gioco di parole, è un detto zen e andando avanti nella pratica con lo studio dei koan saremo in grado di gestire queste diverse situazioni, e qui il Maestro è indispensabile.

A mani unite

Francesco Sosen

 

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